Festival cinematografico di Locarno al via con l’Excellence Award all’attrice iraniana Golshifteh Farahani

Carne della sua carne: un ritratto di Golshifteh Farahani

Golshifteh Farahani è nata a Teheran nel 1983. Nel corso di una carriera lunga trent’anni è passata dal cinema d’autore al blockbuster, dal dramma alla commedia sofisticata, dall’Iran alla Francia (passando per Hollywood). Ha attraversato le condizioni più disparate – beniamina della patria, esule, ribelle –, ma soprattutto è rimasta fedele a se stessa, e a un talento attoriale che la renderebbe riconoscibile tra mille. Questa sera, Locarno le rende omaggio con l’Excellence Award.

Golshifteh Farahani è una di quelle interpreti speciali, luminose, magnetiche. Una che “buca lo schermo”, anche quando non proferisce parola, e che ha il potere di mutare la temperatura emotiva di una scena con la sua sola presenza fisica. Merito anche di una bellezza ultraterrena, eterea e insieme sensualissima, il suo è un viso dotato di espressività innata, che pare fatto apposta per essere filmato. Ma la fotogenia di Golshifteh Farahani non può e non deve essere ricondotta esclusivamente ai tratti del suo volto, o all’eleganza discreta del suo portamento: Farahani è un’attrice intelligente, sensibile, baciata dal dono di una saggezza antica.

Ripercorrere la biografia di quest’interprete significa immergersi in un racconto complesso, spesso doloroso, innegabilmente “cinematografico”. Farahani, dopotutto, nasce sotto le bombe della guerra Iran-Iraq, che temprano un’indole caparbia e resistente: la sua è una famiglia di dissidenti, e vivere nell’Iran postrivoluzionario somiglia troppo spesso a un sopravvivere. Per Golshifteh, il cui talento sboccia prematuro e prepotente, l’esercizio della resistenza passa innanzitutto dal lavoro, cioè da un mestiere d’attrice praticato con devozione quotidiana: oltre sessanta ruoli nel corso di una carriera lunga circa tre decenni, a cavallo di almeno tre continenti.

La vicenda personale e professionale di Farahani si mescola con le sorti di un paese intero e del suo popolo martoriato: preciserà spesso che “la politica è dei politici”, rivendicando per se stessa lo spazio puro e incontaminato dell’arte, ma diventerà al contempo un simbolo di resistenza e contestazione, attraverso una pratica di libertà che le costa l’esilio. Amatissima in patria, a vent’anni o poco più, è a fianco di Abbas Kiarostami per Shirin, e poi protagonista assoluta di About Elly: per una delle sue opere più “antonioniane”, Asghar Farhadi le cuce addosso il ruolo di Sepideh, cocciuta e dolente, fiera e vulnerabile. L’attrice darà vita al personaggio con una forza dolce e insieme sferzante: la sua coscienza diventa il perno morale del racconto, i suoi primi piani il centro simbolico e visivo del film.

"

Per Farahani, il cui talento sboccia prematuro e prepotente, l’esercizio della resistenza passa innanzitutto dal lavoro, cioè da un mestiere d’attrice praticato con devozione quotidiana.

Negli stessi mesi, Farahani è pronta per il grande salto senza ritorno: Ridley Scott la vuole per lo spy movie Nessuna verità, a fianco di pezzi da novanta come Leonardo DiCaprio e Russell Crowe. Ma Teheran vede di cattivo occhio le sue simpatie hollywoodiane, e il casus belli prende le forme di una conferenza stampa rilasciata senza hijab: Golshifteh è una traditrice, un’ingrata, un’amica dell’imperialismo yankee. Sullo schermo Farahani e DiCaprio si prodigano in un passo a due teso e allusivo, che il regime degli ayatollah non tarda a strumentalizzare: quel rapporto ambiguo, secondo la dittatura iraniana, romanticizzerebbe infatti le relazioni tra Occidente e Medio Oriente, e più precisamente l’atteggiamento predatorio dell’America capitalista nei confronti di una Persia vista come colonia da sfruttare.

Da quel momento in poi, la storia dell’attrice comincia a somigliare alla vicenda di troppi artisti e intellettuali iraniani, costretti a scegliere tra la prigionia e l’esilio. Farahani ripara in Francia, e continua a fare quel che le riesce meglio: recita per la connazionale Marjane Satrapi in Pollo alle prugne, è protagonista di Come pietra paziente di Atiq Rahimi, compare in Eden di Mia Hansen-Løve. Lavora con Christophe Honoré, nella commedia in costume Quella piccola peste di Sophie, ma è a Louis Garrel che deve il più memorabile dei suoi ruoli in lingua francese, almeno per chi scrive: bella e imprendibile, come una novella Jeanne Moreau, è l’epicentro sentimentale del triangolo amoroso imbastito da Due amici, rom-com dolceamara dichiaratamente “à laTruffaut”.


Mentre le platee francesi cominciano a riconoscere in lei un volto familiare, legato a un cinema lieve ma sempre sofisticato, non cessano i richiami d’Oltreoceano, da Hollywood così come dalla scena indipendente: nel 2009, in piena tempesta politica, Farahani era stata costretta a rinunciare a Prince of Persia, ma ritornerà al blockbuster con Exodus – Dei e re, e poi ancora col franchise Pirati dei Caraibi; negli stessi anni, nel meraviglioso Paterson, duetta con Adam Driver davanti alla macchina da presa di Jim Jarmusch, legando il proprio percorso professionale alla storia del grande cinema d’autore americano.

Nella scelta di titoli così diversi, rappresentativi di “idee di cinema” tanto lontane, emerge la cifra di quest’attrice rara, la cui versatilità non si limita alla pur notevole padronanza delle lingue (passa senza sforzo apparente dal farsi all’inglese, e poi ancora al francese). Ma Farahani si distingue soprattutto per un’intensità interpretativa singolare, che sembra emanare naturalmente dalla sua carne, e che si manifesta con la discrezione dei piccoli gesti: una battuta data a mezza voce, un sopracciglio che si increspa, uno sguardo che s’illumina d’un tratto.

"

Golshifteh si distingue soprattutto per un’intensità interpretativa singolare, che sembra emanare naturalmente dalla sua carne, e che si manifesta con la discrezione dei piccoli gesti.

Ma che le sue qualità interpretative più preziose passino dall’uso del corpo, ancor prima che della parola, non dovrebbe in fondo sorprenderci: dopotutto Farahani è un’attrice potente, forse istintiva, ma estremamente coerente nel tessere le trame invisibili che legano testimonianza e racconto, arte e vita. E se il regime esercita il potere assoggettando il corpo femminile, e misurando la propria efficacia nell’intensità della repressione, la resistenza non può che passare da una riappropriazione del sé, a partire appunto dal diritto di decidere del proprio corpo. In fondo, recitare è un mestiere che si fa con gli occhi, con la bocca, con le braccia e con le gambe: per chi è cresciuta nella vergogna, per chi è stata addestrata a farsi piccola fino a scomparire, è piccolo gesto di per sé rivoluzionario.







Commenti

Post popolari in questo blog

Il cantautore Andrea Petrucci con Una notte eterna torna dopo un buio periodo

Porto 11 un prezioso locale dove stare bene “via dalla pazza folla” in un contesto incantevole

Vacanze estive in Istria, una scelta da fare