Lea Colliva a 50 anni dalla morte al Museo dell’Ottocento a Bologna

Quando, nel 1991, Marilena Pasquali redigeva la biografìa di Lea Colliva su La pittura in Italia - Il Novecento scriveva: «[...] forse l’unica voce autenticamente espressionista nel panorama bolognese fra le due guerre» aggiungendo «manca però una rivisitazione completa della sua opera che le riconosca i suoi meriti». A questo si aggiungeva Nino Bertocchi (1900-1956) che, tanti anni prima scriveva, in un manoscritto rimasto inedito: «una monografia che si volesse dedicare a questa pittrice risulterebbe delle più folte e sorprendenti».

Il 2025 è dunque l’anno propizio per celebrare la pittrice con un’approfondita personale, organizzata dal Museo Ottocento Bologna in occasione dei cinquant’anni dalla morte, avvenuta il 12 luglio del 1975.

 

Artista cruda, libera e in continua germinazione, la Colliva viene oggi studiata attraverso la rilettura di tutte le fonti critiche precedenti messe a confronto, per la prima volta, con una indagine lenticolare condotta da Francesca Sinigaglia, dell’Archivio della Fondazione Bertocchi Colliva di Monzuno: ciò ha permesso di evidenziare dettagli inediti e novità assolute mai emersi finora. Le carte della pittrice, furono riordinate anche dalla sorella Renata, che tanto apprezzava e valorizzava l’opera di Lea. 

Dopo la sua morte, un articolo apparso sulla Strenna Storica Bolognese e firmato da Elena Gottarelli, esprimeva perfettamente e in poche pagine, l’animo «inquietante e segreto» della pittrice. La stessa Gottarelli denunciava la «portata del lutto che ha colpito la cultura italiana» per «la fine repentina e pudica che ha suggellato la vicenda terrena dell’artista». Fu proprio Elena Gottarelli a consegnare una descrizione di Lea Colliva che in parte restituisce la sua persona: 

«Non ha avuto un carattere facile, questa creatura indomita che qualcuno ha definito “una forza della natura”, sprigionava energia violenta che sapeva trasformare in buone maniere [...] è stata una donna completamente dominata dall’arte. Si trattò del famoso “sacro fuoco” [..] proprio per il dato di irrazionalità che essa sottende: tagliente, pentita, dispettosa, segreta, gelosa e generosa. 

 

 

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